Strage Chinnici, 15 ergastoli
CALTANISSETTA – Quindici ergastoli, 4 condanne a 18 anni di reclusione e una nuova indagine per individuare gli autori dei depistaggi sulla strage Chinnici. La Corte d’assise di Caltanissetta ha accolto ieri per intero le richieste del pm Annamaria Palma infliggendo il carcere a vita ad esecutori e mandanti dell’agguato di via Pipitone Federico e condannando 4 collaboratori di giustizia, Giovanni Brusca, Giovambattista Ferrante, Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci, a 18 anni di reclusione ciascuno. Era il 29 luglio ’83 quando l’esplosione di un’auto bomba dilaniò il consigliere istruttore Rocco Chinnici, che stava uscendo di casa, due carabinieri che lo scortavano, il maresciallo Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta, ed il portiere dello stabile Stefano Li Sacchi. Quella di via Pipitone Federico fu una prova generale di ciò che sarebbe poi accaduto il 19 luglio del ’92 provocando la morte del procuratore Paolo Borsellino. Ed è partendo proprio dalle dichiarazioni rese da Borsellino all’indomani dell’agguato a Chinnici e dagli appunti del consigliere istruttore, che il pm, non senza amarezza, parla degli «anonimi, degli indizi che fin dall’inizio consentivano di acquisire elementi di responsabilità nei confronti di questi imputati e che per motivi che in questo processo non sono emersi non sono stati valutati adeguatamente. Fu privilegiata un’altra pista. Eppure – prosegue Annamaria Plama – il diario di Chinnici e le dichiarazioni di Borsellino rendevano facile individuare l’impegno contro personaggi eccellentissimi che Chinnici voleva perseguire». E invece, nel primo processo si andò dietro al teste chiave dell’accusa: il libanese Bou Chebel Ghassan, trafficante di droga – che venne poi assolto – e il procedimento passò davanti a sette organi giudicanti prima di essere stroncato, definitivamente, dalla Cassazione, lasciando fuori da questo giudizio Giuseppe Giacomo Gambino, Gabriele Cammarata e Francesco Intile, che sono deceduti e Michele Greco, il «papa» che non è più perseguibile perché, con sentenza già passata in giudicato, è stato assolto. «Adesso è opportuno individuare i responsabili del depistaggio» conclude il pm Palma. Il movente della strage è da ricercare nel fatto che Rocco Chinnici, per le indagini su fatti di mafia, aveva pensato di ricorrere al lavoro di gruppo, alla costituzione, cioè, di quel «pool» antimafia che, dopo la strage di via Pipitone Federico fu realizzato da Antonino Caponnetto, ma anche nel rifiuto del magistrato di cedere alle pressioni dei cugini Salvo. Interrogato dai magistrati di Caltanissetta sei giorni dopo l’esplosione, il procuratore Paolo Borsellino aveva detto «Chinnici era convinto che nei fatti di mafia, almeno ad alto livello, fossero coinvolti anche i Salvo». Con il procuratore Sebastiano Patanè, Borsellino parlò delle indagini condotte dal consigliere istruttore sugli omicidi Mattarella e La Torre, e di Salvo Lima che si era lamentato con Chinnici, a nome della Dc, per alcune inchieste. E aggiunse: «Chinnici era amareggiato per il fatto che nei confronti di costoro si agisse con i guanti gialli da parte di tutti. Era molto preoccupato per la sua incolumità e per la nostra. Un’altra volta aggiunse che se gli stessi elementi li avessero avuti nei confronti di altri, certamente si sarebbe proceduto». Disse anche «che riteneva i Madonia particolarmente pericolosi perché li aveva avuti come imputati nel processo delle bombe di Capodanno e aveva ricevuto gravi minacce». Ieri, fra gli altri, all’ergastolo sono stati condannati Francesco e Antonino Madonia.
GIANPIERO CASAGNI