I misteri di via D’Amelio ripartono da quella Fiat “126″
16/7/2011 – Come faceva la Polizia a sapere, un’ora dopo le 16 e 58 minuti del 19 luglio 1992, che ad esplodere in via d’Amelio era stata una Fiat, “126 o una Panda”, e comunque una vettura Fiat?
Perché il motore non era presente in nessuno dei numerosi video girati in via D’Amelio e visionati in aula al processo Bis per la strage Borsellino? Perché il blocco motore della vettura, che venne individuato solo dopo le ore 13 del giorno successivo, non era accanto, il giorno della strage, al corpo di Paolo Borsellino o di uno degli agenti massacrati dell’esplosione?
Sono questi alcuni dei veri misteri della strage di via D’Amelio la cui soluzione potrebbe portare a chiarire, una volta per tutte, dove ‘localizzare’ eventuali responsabilità di colletti bianchi nell’eccidio. La risposta a questi quesiti potrebbe arrivare con la richiesta di revisione del processo che la procura e la Procura generale di Caltanissetta, si apprestano a formalizzare.
Dalle indiscrezioni, probabilmente parziali, sulla richiesta di revisione del processo, sembrerebbe, però, che si sia riuscito solo a dare un nome a chi materialmente diede l’impulso al telecomando che fece brillare l’esplosivo: sarebbe stato Giuseppe Graviano, peraltro già condannato all’ergastolo per la strage. Le dichiarazioni dei pentiti Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina, ma anche la confermata ritrattazione di Vincenzo Scarantino, avrebbero consentito di scagionare altre 6-7 persone. Un successo investigativo che, però, non basterà a colmare l’onta per la giustizia italiana che ha costretto in prigione per circa 18 anni degli innocenti.
I due pentiti, soprattutto Tranchina, hanno consentito, inoltre, di individuare il luogo da cui l’impulso sarebbe partito: dietro il muretto che delimita il giardino che chiude la via D’Amelio. Una ricostruzione, quest’ultima, che collima con quella fornita anni addietro dal pentito Giovambattista Ferrante che, riferendo una discussione con Salvatore Biondino, aveva detto di aver saputo che nell’attentato qualcuno del commando appostato dietro un muretto di via D’Amelio per la violenza dell’esplosione aveva temuto che la parete di cemento crollasse e lo seppellisse sotto i detriti. Ferrante non seppe dire il nome di chi aveva il telecomando in mano e in dibattimento, in appello, sostenne che ad esplodere non era stata una Fiat 126 ma un bidone da 400 litri. Al presidente della Corte d’assise d’appello Bodero Maccabeo che gli chiese perché riferisse solo in quel momento quelle cose, rispose in maniera sibillina: ”Io l’ho detto subito ai pm che mi interrogavano su Capaci e via D’Amelio, ma mi hanno detto: ‘Guardi Ferrante, se c’è una cosa di cui siamo sicuri è che è stata usata una macchina, quindi questa dichiarazione se la tenga’”. Cosa sia successo dopo questa affermazione che apparve offensiva nei confronti dei Pm, non è noto. Così come non si avrebbe notizia di quel verbale.
La vicenda dell’identificazione ‘tempestiva’ della vettura esplosa e dell’apparizione del blocco motore (che pesava una settantina di chili), dunque, stando alle indiscrezioni, sembrerebbe destinata a restare ancora misteriosa.
Era stato l’avvocato Rosalba Di Gregorio, nel corso del processo bis per la strage a chiedere spiegazioni all’ex capo della Mobile di Palermo e poi del gruppo ‘Falcone-Borsellino’, Arnaldo La Barbera su come avesse fatto l’agenzia Ansa, poco prima delle ore 18 del 19 luglio a battere la notizia secondo cui la polizia riferiva, disse la Di Gregorio, che era esplosa una “fiat 126, o una fiat di piccola cilindrata”, come attestava una dichiarazione ufficiale della direzione dell’agenzia inviata allo stesso legale. La Barbera non seppe dare spiegazione.
Oggi, curiosamente, chi cerca quella notizia battuta allora legge che ad esplodere fu una “Fiat 600”. Della “126” di cui parlò in dibattimento la Di Gregorio, non c’è traccia. Vale la pena di evidenziare, comunque, che la Fiat 600 è un tipo di vettura che non era neppure presente in via D’Amelio (come attestano i verbali ufficiali) e che, peraltro, nel 1992, sarebbe stata una vera e propria ‘carretta’ atteso che la produzione di quel tipo di vettura era stata sospesa nel lontano 1969, ben 23 anni prima (la ‘nuova’ 600 viene prodotta a partire dal 1998 ndr.).
Ancora misterioso, inoltre, è il fatto che il blocco motore della Fiat 126, con la targa (rubata) PA878659, non sia mai stato ‘immortalato’ nelle ore e ore di video-registrazione di Vigili del Fuoco, della Polizia Scientifica ma anche degli operatori di Tv nazionali e video amatoriali, il 19 luglio. E non spunta neppure nelle miglia di foto scattate quel drammatico giorno e visionate, anch’esse, durante il processo Bis. Il ritrovamento del blocco motore avvenne solo alle ore 13 dell’indomani, come attesta una relazione della polizia. Curioso, no?
Secondo il procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, queste nuove indagini hanno consentito di accertare che “Paolo Borsellino era a conoscenza della cosiddetta ‘trattativa’ già dal 28 giugno 1992. Noi abbiamo motivo di ritenere – dice Lari – che la strage di via d’Amelio si inserisca in questo percorso di trattativa tra Stato e Cosa Nostra”. Secondo Lari “o la trattativa non è andata avanti perché Borsellino si è messo di traverso, o questa trattativa non andava comunque avanti perché le richieste erano inaccettabili. Quindi Riina – prosegue il procuratore – ha pensato di dare un altro colpo alle istituzioni anticipando l’esecuzione di una strage che in quel momento non rientrava nelle dinamiche organizzative di Cosa Nostra”. Ci sarebbe la trattativa, dunque e non il dossier ‘Mafia e Appalti’ voluto da Giovanni Falcone e seguito da Paolo Borsellino – ma archiviato dalla procura di Palermo a ridosso della seconda strage del 1992 – dietro la strage di via D’Amelio.
Gianpiero Casagni