Ciancimino jr e Scarantino Pm di Palermo allo specchio
27 aprile 2011 – Due false accuse, gravi, ma due soluzioni giudiziarie diverse. La vicenda di Massimo Ciancimino e la sua presunta calunnia nei confronti di Gianni De Gennaro che lo ha portato dietro le sbarre per volere della Procura di Palermo, porta, inevitabilmente a pensare, non solo a Giovanni Falcone, che per lo stesso reato, commesso ai danni di Salvo Lima, nell’ottobre del 1989, arrestò il terrorista nero Angelo Izzo e il pentito catanese Giuseppe Pellegriti (la richiesta di rinvio a giudizio per i due, datata marzo 1991, fu l’ultimo atto firmato da Falcone prima di trasferirsi a Roma ndr.), ma anche, e soprattutto, a Vincenzo Scarantino.
Se, infatti, Falcone concluse la vicenda giudiziaria in maniera pressoché analoga a quella di Ciancimino Jr, nel secondo caso, invece, la soluzione pare sia stata diversa:come se nulla fosse accaduto.
Sempre ammesso che non si tratti di una licenza letteraria del Pm Antonio Ingroia, autore del saggio ‘Nel labirinto degli Dei” – ma il verbale d’interrogatorio del pentito esiste, eccome – le dichiarazioni, false, rese dal collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino nei confronti di Silvio Berlusconi e Bruno Contrada, hanno avuto una sorte diversa: dimenticate. Mai utilizzate.
Porsi delle domande è lecito, e quindi ci si chiede: perché? Nel libro, Ingroia scrive di aver interrogato Vincenzo Scarantino, il pentito che si era autoaccusato di avere organizzato il furto della Fiat 126 usata come autobomba in via D’Amelio, “una sola volta… era stato lui a mettere sul piatto due temi di prova apparentemente appetitosi: nuove accuse a carico di Bruno Contrada, all’epoca già inquisito e in custodia cautelare per concorso esterno in associazione mafiosa; e, addirittura, dichiarazioni che coinvolgevano il già allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in oscure vicende di traffico di stupefacenti”.
“Le dichiarazioni a carico di Contrada – scrive Ingroia – erano apparentemente riscontrabili, quelle che riguardavano Berlusconi, invece, erano generiche e sostanzialmente indimostrabili”. Fu così che vennero disposti accertamenti della Polizia giudiziaria ma “l’esito fu sconfortante… Non era stato acquisito alcun riscontro che si potesse considerare individualizzante a carico di Contrada”. Ingroia scrive poi di aver parlato con il pm Alfredo Morvillo (fratello di Francesca, la moglie di Falcone morta nella strage di Capaci ndr), e poi anche col Procuratore Gian Carlo Caselli: “Decidemmo di non servirci delle sue dichiarazioni accusatorie. Esse pertanto non furono mai utilizzate né per il processo Contrada né nei confronti di Berlusconi”. Né depositate nel fascicolo del Pm, secondo quanto sostiene la difesa di Bruno Contrada.
Ci si domanda: perché la Procura di Palermo non riservò a Scarantino il ‘trattamento’ che utilizzò Falcone con Izzo e Pellegriti e che, invece, oggi i magistrati del capoluogo siciliano – sovrapponendosi ad identiche indagini della Procura di Caltanissetta – hanno riservato a Massimo Ciancimino? Se Scarantino fosse stato arrestato per calunnia allora, non si sarebbero, forse, evitati gli errori giudiziari che, pare, siano stati compiuti nell’inchiesta sulla strage di via d’Amelio? O quantomeno: non si sarebbero ‘invitati’ i magistrati inquirenti – nel caso di specie il Pm Antonino Di Matteo e Anna Palma – a pesare meglio le parole di Scarantino?
Quel che è certo è, come diceva Rossini nel “Barbiere di Siviglia” che “la calunnia è un venticello. Un’auretta assai gentile. Che insensibile sottile. Leggermente dolcemente. Incomincia a sussurrar”. E poi “trabocca, e scoppia, Si propaga si raddoppia. E produce un’esplosione. Come un colpo di cannone. Un tremuoto, un temporale, Un tumulto generale Che fa l’aria rimbombar. E il meschino calunniato Avvilito, calpestato Sotto il pubblico flagello Per gran sorte va a crepar”.
Ma non è questo il compito della giustizia.