I segreti di don Vito e i ‘piani’ del ’91 di Cosa nostra
Giudici Firenze ricostruirono “disegni” di Totò Riina
Palermo, 21 ott. 2009 (Apcom) – L’omicidio dell’europarlamentare Dc, Salvo Lima fu “un avvertimento” e faceva parte “di un disegno più vasto” che “potrebbe spiegare molte cose, molte altre cose”. E’ quanto in sintesi scriveva, il 26 ottobre del 1992, Vito Ciancimino in una lettera inviata alla Commissione Antimafia con la quale chiedeva di essere sentito. Ciancimino, però, non fu sentito perché venne arrestato prima di essere convocato. Ma cosa voleva riferire all’Antimafia Ciancimino? Una ipotesi è che l’ex sindaco di Palermo volesse raccontare dettagli sulla strategia decisa da Totò Riina sul finire dell’estate del 1991. Quale fosse la strategia ‘deliberata’ da Cosa nostra nel 1991, comunque, lo ha appurato, in via giudiziaria, la Corte d’assise di Firenze, che si occupò dei responsabili degli attentati di Roma, Firenze e Milano, del 1993. Nella motivazione della sentenza, la Corte di Firenze, presieduta da Gaetano Tommaselli, ha accertato come ‘Cosa nostra’, sul finire dell’estate del 1991, aveva già pianificato di eseguire vari delitti, fra i quali quelli di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La ‘campagna’, per volere di Totò Riina, però, venne ‘congelata’ in attesa del verdetto della Corte di Cassazione sul maxiprocesso di Palermo. E ciò perché Riina non voleva dare l’impressione che un verdetto negativo potesse essere imputato alle azioni cruente già programmate. La sentenza della Cassazione, sfavorevole per gli uomini di Cosa nostra, arrivò il 30 gennaio 1992. Citando fra gli altri il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, l’uomo che fece detonare l’esplosivo a Capaci, i giudici di Firenze rilevano come la mafia avesse deciso di agire, molto prima del 30 gennaio 1992, nei confronti dei nemici e degli amici che, come spiegò il pentito, “avevano fatto politica per conto suo”. Brusca disse che la strategia della mafia, tra il 1990 e il luglio 1992 “era quella di eliminare i nemici di Cosa nostra e con la speranza di avere nuovi contatti politici”. Si volevano eliminare, insomma, “tutti i nemici, cioè amici o nemici in qualche modo chi aveva fatto politica per conto suo avvalendosi della mafia, o quelli che realmente erano nemici”. I nemici ‘dichiarati’ di Cosa nostra erano “i giudici Falcone e Borsellino, il questore di Palermo, Salvatore La Barbera, il dirigente del commissariato di Castelvetrano, Calogero Germanà” e Antonio Manganelli. La Corte indica anche i nomi di quelli che, a detta di Brusca “avevano fatto politica per conto suo avvalendosi della mafia”. E fra questi inserisce Lima, il primo a cadere sotto il fuoco della mafia il 12 marzo 1992. Nella motivazione della sentenza, la Corte d’assise di Firenze, spiega anche come fra le stragi del 1992 e gli attentati del 1993 non c’è nessun collegamento. E questo perché nessuno degli importanti collaboratori di giustizia interrogati, prima del luglio 1992, “sentì mai parlare di attentati del genere” aventi come bersaglio, cioè, il patrimonio artistico italiano. “Il che – scrive la Corte – esclude, ovviamente e a maggior ragione, che una qualche risoluzione sia intervenuta intorno ad essi prima dell’epoca suddetta”. E ciò “recide in radice la tesi prospettata da varie parti, secondo cui le stragi per cui è processo sarebbero collegate teleologicamente o organizzativamente o soggettivamente con quelle di maggio e luglio 1992”. Se così non fosse stato sarebbe stata competente la magistratura di Caltanissetta a giudicare anche gli attentati del 1993. Dopo le stragi Falcone e Borsellino, insomma, Cosa nostra cambiò strategia, ne fece una nuova non nell’ambito, però, “di un medesimo disegno criminoso”. Cas 21-OTT-09 16:47 NNNN