Il rito palermitano
di Andrea Marcenaro (copia Ocr di PANORAMA del 07/08/1997)
Regola numero uno; rimanere acquattati, perché possono sempre spuntare le accuse di qualche pentito Regola numero due; onorare i grandi dottori della città malata, Caselli in testa Altrimenti, volenti o nolenti, si finisce “mascariati”, sporcati dalla mafia. “Per Di Pietro c’era la “dazione ambientale”? Qui c’ è la cappa delle parentele e delle amicizie. Con i pentiti pronti a calarsi nel ruolo del plotone d’esecuzlone”
Un proverbio palermitano dice: “U carbuni, sù nun tinci, mascarla”, il carbone, anche se non macchia, sporca. Di un tizio che è stato sporcato, si dice infatti che è “rnascarlato”. Palermo è mascariata per tre quarti.
Per entrare a far parte della sterminata famiglia dei mascariati basta niente. E’ sufficiente che un pentito butti li il tuo nome.
Che accenni di aver sentito dire, una volta, che sei stato amico di un amico. Che eri uno “awicinabile”. Chiaro? Non avvicinato, “avvicinabile”, A volte non è nemmeno necessario che un pentito parli dawero. Basta che in giro si dica che ha parlato di te, o che potrebbe parlarne. Mentre la chiacchiera incomincia a girare, cosi, tu perdi i primi colpi. Finisci su un verbale. O è come se ci fossi finito. Allora sei mascariato. Non macchiato, perché su di te non c’ è nulla, ma ugualmente sporcato dalla mafia. Da quel momento, se starai zitto, se rinuncerai a dire ciò che pensi e a fare ciò che credi, soprattutto se la smetterai di dar fastidio ai buoni dottori impegnati al capezzale della città malata, potrai tirare a campare.
Se no, altri due, tre, cinque pentiti potrebbero spuntare all’ improvviso. E rovinarti. Perché a Palermo c’ è penuria di molte cose, ma non di pentiti. Luigi Croce, uno dei due procuratori aggiunti di Palermo, non è un uomo schierato con Gian Carlo Caselli. Nel senso che non fa parte dei fedelissimi. E’ un moderato,
non ama gli eccessi. Il caso vuole che la sua situazione personale sia in bilico. Totò Cancemi, lo stesso pentito che accusa il giudice Corrado Carnevale, ogni tanto butta sul piatto che i mafiosi hanno favorito Croce nella proprietà di una casa ad Altavilla.
L’inchiesta, a Caltanissetta, non va né avanti né indietro. Ma Croce è rnascariato. A raccogliere la dichiarazioni di Cancemi che tengono sulla corda l’alto magistrato è stata Teresa Principato, che fa parte del nocciolo duro della procura antimafia. E il nome di Croce, che non c’entrava un piffero, è passato e ripassato ripetutamente dentro il tam tam delle voci e delle chiacchiere interne al Palazzo di giustizia. L’ultima volta fu quando la procura apri un’ inchiesta sull’ ipotetica talpa che avrebbe fatto filtrare la notizia delle segretissime indagini su Marcello Dell’ Utri e Silvio Berlusconi.
Vittorio Aliquò, l’altro procuratore aggiunto, è l’anziano dell’ ufficio. Ha retto la procura nel periodo turbolento del passaggio di consegne dell’ ex capo Pietro Giammanco. Dovrebbe essere una figura prestigiosa. Stranamente, è ai margini del lavoro.
Nella città patria del Delitto, a lui sono affidati un po’ di rapine e qualche scippo. Niente mafia. Perché la mascariatura di Aliquò è di tipo tutto particolare. Il figlio Angelo è sindaco di Gratteri per Forza Italia. E sua nuora, Simona Vicari, sempre di Forza Italia, è deputato regionale. Motivi sufficienti, evidentemente, per umiliare il procuratore anziano. Il quale, per paura di qualcosa di peggio, subisce in silenzio.
Com’ è da sempre, qui tutto succede sottovoce. Non esistono accuse nette, capaci di dare il via a difese altrettanto nette. Se il sostituto procuratore Luigi Patronaggio chiede di passare dalla procura alla pretura, cioè di subire un inaudito sacrificio di carriera, tutti tacciono, o fingono di chiedersi perché.
Patronaggio, i cui rapporti con i magistrati di prima linea non andavano a gonfie vele, è figlio di un maresciallo di pubblica sicurezza in pensione del commissariato Libertà. Ma il padre era anche buon amico di Bruno Contrada, il vicecapo del Sisde condannato di recente per associazione mafiosa. E il torrentello velenoso porta con sé (non Verificata) la voce secondo cui alcuni pentiti accuserebbero il maresciallo Patronaggio di avere fatto da tramite tra un dirigente del suo commissariato e il boss deceduto Stefano Bontade. Vero? Falso? Poco importa, Cosi mascariato, il sostituto procuratore Patronaggio preferisce farsi da parte e retrocedere in
pretura.
Per Antonio Di Pietro c’era la “dazione ambientale”? Qui c’ è la cappa delle parentele e delle amicizie. Con i pentiti pronti a calarsi nel ruolo del plotone di esecuzione. Il sostituto Giuseppe Pignatone, che non aveva una concezione etica della giustizia, sa n’ è andato anche lui prima che qualc:he pentito si ricordasse c:ome il padre fosse stato fino a ieri uno dei massimi responsabili degli enti economici siciliani, l’ Ems, l’Espi e l’ Azasi… Massimo lIarda, altro sostituto importante, dopo uno scontro con Caselli ritenne più salutare per sé trasferirsi alla procura generale.
Sembra un regime di ferro, quello istituito in procura: chiunque possa correre anche il minimo rischio di chiacchiera, via, allontanato. Non sempre, però, è così. Anzi, ficcando il naso, capita di imbattersi in una fantastica serie di vicende fatali che suggerirebbero l’opposto, Quella del sostituto Antonella Consiglio, magistrato dell’ antimafia fedelissima a Caselli, per esempio, racconta che la tolleranza non è stata del tutto espulsa dal Palazzo di giustizia di Palermo. Che le colpe dei padri qualche volta evitano di ricadere sui figli. E che non a tutti, vivaddio, è riservato il maledetto destino dei mascariati. A nessun pentito, così, è venuto in mente di raccontare che a Terrasini, nello scandalo dell’ acqua denunciato con merito da Leoluca Orlando e dal sindaco locale, Manlio Mela, c’ara dentro fino al collo anche Giacomo Consiglio, potente democristiano di Terrasini e papà di Antonella. Mele ha denunc:iato i fratelli D’Anna, mafiosi, e ha denunciato come fatto di mafia che il quarto lotto dell’ Esa non fosse mai stato realizzato. Ma non ha detto che a non
volerne la realizzazione, tra gli altri, fu proprio Consiglio. Il quale vendeva acqua a Terrasini fin dagli anni Settanta e il cui nome compariva in un documento contro il boss Gaetano Badalamenti del Centro Peppino Impastato. I magistrati Imbergamo, Teresì e De Luca, che seguono l’inchiesta sui fratelli D’Anna e sull’ acqua, per parte loro Consiglio non sanno nemmeno chi sia. Nessuna domanda a nessun pentito.
Mentre il marito del sos tituto pro curatore Antonella Consiglio, il sosti tuto
procuratore Domenico Gozzo, che nel 1994 aveva concesso un’ intervista molto
polemica nei confronti di Casellì e della procura palermitana, si è talmente
‘allineato da far parte con piena soddisfazione del pool che se gue le inchieste su
Vittorio Mangano e Dell’ Utri . Il sindaco Mele evita tutto ra di nominare Consiglio:
un po’ per non inimicarsi la procura e un po’ perch é Consiglio è suo cugino. Per
fortuna, non tutti i mascari abili fini scono mascari ati .
In una procura grande come quella di Palermo capitano molte cose.
Può succedere che marito e moglie si dividano equamente la Democrazia cristiana.
Lui , Roberto Scarpinato, si è preso Giu lio Andreott i. Lei, Teresa Principato,
Calogero Mannino. Può capitare che i giudici per le indagini preliminari , che sono
otto in tutto, non pos sano, per un verso, leggersi le ca rte che i 52 pm riversano
loro addosso. E, per l’altro verso , che siano obbligati a sposare le tesi dei pm se non
vogliono senti rsi accusare a loro volta di aver fatto scadere i termini di
carcerazione preventiva. Chi non ricorda quel celebre biglietto spedito dal gip
Sergio La Commare al pm lIarda: “Fammi tu un appunto, per evitarmi una noiosa
camera di consiglio’? Ma capita anche di assi stere a mascar iatu re postume.
Come due anni fa, quando tra Caselli e il suo sostituto Anna Palma qualcosa si ruppe,
e Palma, da l principato di Palermo, chiese il trasferimento alla baronia di
Caltanissetta. Mai saputo perché se ne fosse andata. Si sa però che, a stretto giro di
posta, il marito di Palma, Elio Cardinale, eminente radiologo, vicino al
repubblicano Ari stide Gunnella prima e al dc Mannino poi , entra nel mirino del
dottor Gozzo per l’inchiesta sulla malasanità. E l’altra cosa che si sa è che la
dottoressa Palma, mentre le sorti del marito mascariato restano sospese, eviterà
accuratamente di occuparsi , da Caltanissetta, di qualsia si inchiesta che possa
riguardare magistrati pal ermitani. Un caso? Forse .
I casi, le coincidenze fatali , d’ altronde a Palermo si sprecano.
L’ avvocato Nino Mormino, che aveva guidato la Camera penale palermitana con un
profilo curiosamente basso , senza mai accend ere una miccia di conflitto, si è
scoperto adesso, graz ie alla richiesta di rinvio a giudizio per Corrado Carnevale,
che si trovava sotto inchiesta della procura da quattro anni. Sempre per caso il
Giornale di Sicilia, sotto le cui finestre Orlando manifestava fino a due anni fa
(“Ardizzone mafioso’ ), nell’ ultimo anno ha incassalo oltre tre miliard i di
pubblicità dal Comune e si profonde in inchini alla procura. E’ dura fare gli editori
nella Palermo di Caselli e di Orl ando , se si è stati intimi di Salvo Lima. E’ vero che
Piero Ardizzone, editore-diretto re, ha sempre parlato senza veli del suo passato.
Ma i pentiti, almeno, eviteranno di “ricord are”,
Meno dura, anzi, decisamente più lieve , è fare il principe degli acc usator i se ci si
chiama Guido Lo Forte. Con lui è come se la memoria si fosse presa una vacanza. L’
uomo di fidu cia, il braccio destro del rnascariato Giammanco , oggi lo è di Caselli. L’
uomo che and ava in vacanza con Carlo Vizzini , il potente mini stro soc ialdemocratico
delle Poste, oggi ha le stimmate dal grande moralizzatore, Nell’ int erminabile
verbale dei doni arrivati per il matrimonio dei Salvo, in cu i si cercava
affannosamente il vas soio fantasma di Giulio Andreotti, compare una lunga lista di
donatori politici, nominati co l solo cognome: Lim a, D’Acquisto , eccetera.
Solo Vizzini è accompagnato dal nome proprio: i magistra ti hanno tenuto a
sottolineare che si trallava di Casimiro, non di Carlo.
Casimiro è il padre di Carlo. Mascariare Lo Forte ? Non ce n’ era motivo. Così Lo
Forte è passato indenne, archiviato a Caltanissetta, tra le accuse del pentito
Giuseppe Li Pera, il capoca ntiere che lo aveva indicato come corrotto . E ha saputo
compiere, per di più, un piccol o capolavoro di contrappasso: dopo aver fatto passare
Li Pera da mentitore per ciò che riguardava lui, Lo Forte lo ha utilizzato come
pentito attendibilissimo nel giugno 1993, allorché, proprio grazi e a Li Pera, ha
fatto scattare la Tangentopoli siciliana.
Mascariare un pentito e poi recuperarlo? Sembrò il mass imo . Ma non lo fu. L’apice
venne toccato più tard i, con Totuccio Contorno. Era il luogotenente di Stefano Bontade, ma un luogotenente vero, non un autista come Balduccio Di Maggio, che
scarrozzava Totò Rlina. Ed era, Contorno, un pentito della prima ora. Se c’era una
persona in grado di confermare o di smentire i rapporti tra Contrada e Bontade, o
gli incontri tra lo stesso Bontade e Andreotti, questi era lui.
Bene. In un processo dove le carte occupano due tir e in cui si verbalizza perfino lo.
testimonianza della parrucchiera della figlia di Saro Riccobono, si cerca
inutilmente un suo interrogatorio.
Contorno, il pentito che ha parlato su tutto e tutti, non dirà mai le parole che gli
inquirenti palermitani vorrebbero aspettarsi da lui sul processo del secolo. L’anno
scorso è stato arrestato dalla procura di Roma per un traffico di droga avvenuto
quattro anni prima. E’ lo. prova che per qualche inquirente il pentito dei pentiti non
è più di moda. Anche se probabilmente ha ragione Luigi Li Gotti, il suo avvocato,
quando garantisce che Totucclo sarà rìammesso al programma di protezione. Un
verbale ancora segretato, steso da un comitato ristretto della commissione
Antimafia nel 1989, contiene alcune rivelazioni del pentito che sarebbero
esplosive. Il ministro Giovanni Maria Flick, ogni volta che è stato sollecitato a
rendere pubblico quel documento, dove si parla in particolare dei rapporti tra
Contorno e l’attuale vicecapo della polizia, Gianni De Gennaro, farfuglia qualcosa
per dire di no. Sembra incredibile, anche un mafioso può essere rnascariato. Anche
un mafioso pentito.
I rnascarlati, ormai, sono la maggioranza a Palermo. Nel Polo, con Gianfranco
Micciché, Guido Lo Porto e il presidente della Regione, Giuseppe Provenzano, toccati
dalle inchieste. Ma si scorgono anche tra gli amici della procura. Pietro Folena,
responsabile del Pds per lo. giustizia, sotto inchiesta a Palermo per lo scandalo di
Tele L’Ora, e che, garantista neonato, si è prestato alla guerra contro il famoso 513
odiato da Caselli, non è mascariato anche lui? E adesso, con Carnevale, sono
rnascariati anche i giudici siciliani della Cassazione. Quale tra loro osa più
awenturarsi sul terreno infido delle sentenze di mafia? C’ è chi si occupa di civile,
chi di furtarelli. Rischiare di cassare una sentenza palermitana? E finire additati
come mafiosi? Chi glielo fa fare?