Borsellino, Boccassini ‘spiega’ in aula gli errori nelle prime indagini

“Perplessità sulla ‘caratura di Vincenzo Scarantino erano emerse già nel 1992 ma il suo pentimento del 1994 ne fu la prova regina”. Così, deponendo a Caltanissetta al processo Borsellino quater il procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccasini ha raccontato la genesi del colossale errore giudiziario che è costato sette, ingiuste, condanne, quasi tutte all’ergastolo. Solo lei e il collega Roberto Sajeva, che ha deposto subito dopo, compresero l’errore in cui erano caduti i loro colleghi nel dare credibilità a quel picciotto della Guadagna. “Con il collega Roberto Sajeva mettemmo nero su bianco le nostre perplessità, scrivemmo che si stava imboccando una pista pericolosa, lo dicemmo al procuratore Tinebra, ai colleghi Anna Palma e Nino Di Matteo, lo segnalammo in una nota inviata anche alla Procura di Palermo”.

“La sua collaborazione – ha detto –  ha determinato in me la convinzione di trovarci davanti a uno che raccontava fregnacce, un soggetto pericoloso nel momento in cui coinvolgeva altri collaboratori di giustizia”.

 “Scarantino – ha ricordato il teste – faceva arrivare da Pianosa messaggi tramite gli agenti penitenziari ed il procuratore capo, Tinebra discutendo con La Barbera decise di fargli fare dei colloqui. Non c’erano dubbi sulla correttezza di investigativa di La Barbera”.

Boccassini, inoltre, ha poi più volte ribadito che nessuna responsabilità può essere addossata agli investigatori perché “il Pm è il dominus delle indagini, è il pm il responsabile delle scelte che vengono fatte sul piano investigativo, la polizia collabora”.  Ma in ogni caso “La Barbera era una persona che sa sapeva riconoscere anche i propri errori” ha detto il teste ricordando un episodio legato alle dichiarazioni di tale Ubaldo Lauro detenuto in Germania che inviò un telegramma per dire che ci sarebbe stato un nuovo attentato. “La Barbera – ha detto Boccassini –  era certissimo che dicesse il vero. Io lo interrogai e capii che era un cialtroncello. La Barbera disse ‘mi ha fatto fare una brutta figura, ho sbagliato’”.

Dopo aver detto che l’ex collaboratore di Giustizia, Salvatore Candura “mente” quando afferma di aver cercato di contattare la Bocassini a Milano e quando afferma che alcuni i suoi interrogatori erano stati interrotti per una pausa sigaretta perché “non era necessario fare interruzioni per fumare, La Barbera fumava tranquillamente”, il procuratore aggiunto di Milano ha ricordato come il nome di Gaspare Spatuzza venne fuori già nel 1994 grazie a una nota dello Sco, a firma Gratteri, del 18 febbraio. “Io feci acquisire il tabulato di Spatuzza perché il 19 luglio del 1992, giorno della strage di via D’Amelio,  risultavano telefonate di Giovambattista Ferrante con Fifetto Cannella e da li si risalì al cellulare di Spatuzza. Già nel 1994 c’era questa interconnessine fra Capaci e via D’Amelio. Ferrante, infatti,  era nel commando operativo di Capaci”.

Nel corso dell’esame, ma soprattutto di un teso controesame Boccassini si è soffermata a lungo a parlare di Gioacchino Genchi. “La Barbera  di tecnologia non capiva un tubo e  pendeva dalle labbra di Genchi” ha esordito. “Ma io – ha proseguito – in Genchi avevo notato un certo gusto che andava oltre lo spunto investigativo. Voleva acquisire troppo. Ci propose di indagare su Falcone, vedere i pagamenti che risultavano dalle carte di credito

Aveva un atteggiamento non istituzionale e di pura curiosità” ha affermato Boccasini. E, per questo “dissi a Tinebra che considerato che avevamo la Dia ed il gruppo Falcone-Borsellino, avrei avuto difficoltà a continuare con la polizia di stato se fosse rimasto Genchi”.  Dopo la deposizione di Sajeva, che ha ricordato come, da Pg chiese l’assoluzione di due degli imputati nel primo processo per la strage di via d’Amelio accusati da Scarantino, il ptrono di parte civile per Salvatore Borsellino ha chiesto alla Corte d’assise di disporre un confronto fra la Boccassini e Genchi. La procura si è opposta così come alcune parti civili e la Corte di è riservata di decidere. Il processo prosegue il 28 gennaio con la tstimonianza in aula del generale Mario Mori.

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