BorsellinoQuater. Arnaldo La Barbera e il ‘ladro gentiluomo’
Il “ladro più onesto d’Italia”, Vincenzo Pipino, autore del libro “Rubare ai ricchi non è peccato” ha deposto in Corte d’assise a Caltanissetta al processo Borsellino-quater su uno dei due “favori” che ha sostenuto di aver fatto all’ex capo della Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera. Settantuno anni, molti dei quali trascorsi nelle patrie galere – anche in sezioni, come quella dei 41 bis, non riservati a detenuti comuni come lui – Pipino si è presentato davanti ai giudici che si occupano della strage di via D’Amelio, sostenendo di essere molto conosciuto nell’ambiente carcerario come “il sindacalista” o “l’avvocato delle carceri”.
E sarebbe stato proprio in virtù di queste sue ultime qualità che, a suo dire, nel settembre 1992 La Barbera – che il teste fin dal 1986 sapeva appartenere ai servizi segreti per averlo appreso da malavitosi calabresi – si sarebbe rivolto a lui per chiedergli un primo “favore”.
Da qualche mese Pipino era finito nel carcere di Regina Coeli, dopo essere stato arrestato ad aprile di quell’anno per la cessione di alcuni grammi di eroina, “che non avevo fatto” ha sostenuto. La Barbera “che avevo conosciuto a Venezia per ‘motivi di lavoro’, nel senso che lui era la guardia e io il ladro, e non perché io fossi uno di quelli che si facevano grattare la pancia (confidente ndr)” andò a trovarlo. “Ero nella cella 25 assieme ad alcuni della banda della Magliana. Mi chiese di andare in cella con Vincenzo Scarantino che era detenuto a Venezia. Prima rifiutai, ma poi lui mi fece riferimento ad un telefonata e mi minacciò”. Il racconto del teste, sul punto, è apparso volutamente evasivo, anche perché sarebbe legato ad una indagine in corso. La vicenda riguarda l’uccisione, a Palermo, di un mafioso “in diretta telefonica”, mentre chiamava l’utenza veneta di Pipino. “Per evitarmi ulteriori problemi – ha detto il teste – gli chiesi ‘dimmi cosa vuoi da me’. E lui mi spiegò che dovevo cercare di capire cosa c’entrasse Scarantino con la strage Borsellino”. Dopo quattro-cinque giorni da quel colloquio, Pipino, di sera, venne trasferito al carcere di Venezia: “La Barbera e altri tre mi portarono a Santa Maria Maggiore con un macchina civile”. Appena arrivato in cella Pipino prese un foglio di carta bianca e scrisse a Scarantino: “Fai attenzione che ci sono le microspie”. Ma Scarantino “non sapeva leggere…. E ho dovuto spiegarglielo…”. Pipino ha sostenuto di aver ricevuto istruzioni da La Barbera di non far parlare Scarantino in cella, per evitare le microspie perché il ‘superpoliziotto’ voleva l’esclusiva delle notizie: “Mi disse che dovevo dire solo a lui quello che diceva Scarantino”. Ma Scarantino, in cella e fuori “pregava, piangeva si disperava e diceva che non l’aveva rubata lui la vettura e che l’aveva presa un altro quella Fiat 126”.
A quel punto Pipino ha ‘somministrato’ ai giudici e ai presenti in aula una pillola di saggezza: “Un detenuto in carcere piange o perché ha ucciso la moglie o i figli o perché è innocente. Chi ha commesso un reato non piange”. Il teste ha quindi detto che dopo 4 giorni, dopo essersi convinto dell’assoluta innocenza di Vincenzo Scarantino, tolse le microspie dalla cella: “Anche perché dovevo dare un messaggio agli altri detenuti e togliendo le microspie facevo capire che non c’entravo nulla”.
Il giorno dopo “La Barbera venne in carcere da solo e io gli disse che Scarantino era innocente aggiungendo: ‘gira la testa da un’altra parte e riportami a Roma’. Lui mi disse ‘questa è una tua impressione, tienitela per te e non dirlo a nessuno’.”
Pochi giorni dopo è lo stesso La Barbera a riaccompagnare a Roma Pipino e durante il viaggio gli avrebbe chiesto un secondo favore. Su questo ennesimo favore, lo scorso giugno Pipino ha detto di essere stato interrogato dal sostituto Dna, Gianfranco Donadio. L’inchiesta, partendo dal processo per droga in cui Pipino venne condannato a 4 anni, riguarderebbe anche i “movimenti che venivano fatti in Cassazione, spostamenti di processi e fascicoli nel Palazzaccio”. Nel corso della deposizione il teste ha riferito di aver subito, di recente, dopo la pubblicazione della notizia che era testimone del processo di Caltanissetta due minacce, ed ha sostenuto che “la P.s. di Venezia mi ha creato ostacoli. Addirittura – ha detto Pipino – il vice questore ha chiesto la sorveglianza speciale per me. E’ un caso? Guardate che a Venezia La Barbera è considerato ancora un mito…”.