Come Matteo Messina Denaro entrò nell’alta ‘società’

di Gianpiero Casagni – Con l’alta borghesia siciliana, che secondo gli investigatori proteggerebbe la sua latitanza, Matteo Messina Denaro, se non ci fa affari, di sicuro c’è andato a letto. Che sia questa la verità a luci rosse dell’infanzia del superlatitante della mafia lo ha giurato, deponendo nel 2004 in tribunale, il teste Salvatore Errante Parrino.

denaro«Allora Messina Denaro era ancora uno sbarbatello» ricordò il noto professionista palermitano, spiegando che «Lillo Santangelo (poi morto ammazzato, ndr) volle introdurlo nel nostro ambiente goliardico di studenti universitari che c’era negli anni ottanta a Palermo».

Fra una goliardata e l’altra, i tre amici avevano «conosciuto delle signore di Palermo dell’alta borghesia che non lesinavano feste invitando anche ragazzotti e studentelli. Avevamo dunque queste opportunità di divertimento, ci mancava una persona per compensare con le donne presenti, e Lillo invitò Matteo Messina Denaro. Ricordo che lo portammo alla festa e si divertì come un pazzo».

Di feste palermitane ce ne furono altre. Il teste, che non frequentava il boss a Castelvetrano, disse del Messina Denaro diciottenne: «non gli avrei dato cinque lire».

Ma i tempi cambiano e «mi sono dovuto ricredere quando in questi ultimi anni ho letto di lui sui giornali». Matteo Messina Denaro, che compirà 50 anni ad aprile, è latitante dal 1993, perché ricercato per 58 tra omicidi e tentati omicidi e, per questo, deve scontare 11 ergastoli.

Nato a Castelvetrano nel 1962, succede al padre, ‘don Ciccio’, al secolo Francesco Messina Denaro, capo mandamento della mafiatrapanese trovato morto, ben vestito, il 30 no-vembre del 1998, nella piazza del paese: era pronto per il funerale. Sull’erede di don Ciccio, che ogni anno ricorda il congiunto con un necrologio pubblicato sul Giornale di Sicilia, si racconta che avrebbe cominciato ad usare le armi già a 14 anni a scopo intimidatorio.

Poi avrebbe fatto il salto di qualità commettendo omicidi.

Nel frattempo ‘u Siccu’, per la sua f-gura alta e smagrita, o ‘Diabolik’ per la sua predilezione per il fumetto, cresceva sempre di più. Anche all’interno di Cosa nostra. Ma, soprattutto, cresce il suo volume d’affari. A quanto dicono gli investigatori, grazie all’aiuto di imprenditori e della borghesia che, finda giovane, ha imparato a cono-scere intimamente.

«Messina Denaro – ha detto il capo della Criminalpol di Trapani, Giuseppe Linares – è l’anello di congiunzio-ne fra vecchia e nuova mafia. È un uomo di grande intelligenza e ha radici in una provincia in cui la coscienza collettiva di Cosa nostra è fortissima: ricorda tanto il film Nel nome della legge di Pietro Germi, dove la sera quattro mafiosie quattro borghesi decidevano il da farsi».

Non solo affari, anche con società estere, però, nella vita da latitante di Matteo Messina Denaro: «è un uomo che ha letto molto: Cicerone, Pennac, Toni Negri. è convinto – dice Linares – di essere nel giusto e dà sacralità all’appartenenza a Cosa nostra». Non è un caso che in uno dei documenti trovati dalla polizia il boss scriva: «La mia storia su questa terra non è ancora finita,questi Torquemada da strapazzo non mi fermeranno». Poi, però, si mostra anche umile.

Come quando, come riscontrato in alcuni pizzini trovati nel covo di Montagna dei cavalli, risponde a Provenzano che gli diceva «tu sei migliore di me», con un «io sono come lei». Ma Messina Denaro è anche un uomo ‘premuroso’ perchè «si ricorda dei figli di quelli che sono in galera». Lui, però, il sole a scacchi ancora non lo ha visto.

E l’identikit diffuso dalle forze di polizia evidenzia tutte le difficoltà che affrontano gli investigatori costretti a cercare delatori.

«La struttura parallela che lo protegge è a camere stagne, come quella delle Brigate Rosse. è la borghesia imprenditoriale a proteggere Messina Denaro». Ma, non è da escludere, che ‘un aiutino’ lo possa avere anche da altre entità.

TRATTO DA ILSUD

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