“Falcone e Borsellino avevano capito tutto”
Proseguono le rivelazioni di Angelo Siino: le due stragi necessarie alla nuova alleanza mafia politica affari. “Quel capitano usava metodi maliziosi e spregiudicati “
Il pentito ricostruisce le motivazioni dei massacri del 1992 mentre viene spedito un sofisticato avvertimento contro il procuratore di Palermo “Falcone e Borsellino avevano capito tutto” Proseguono le rivelazioni di Angelo Siino: le due stragi necessarie alla nuova alleanza mafia – politica – affari.
ROMA – “Avevano capito tutto”. E quindi dovevano morire. Giovanni Falcone e Antonio Borsellino erano per Cosa Nostra un ostacolo insormontabile, per la loro determinazione ma soprattutto per il loro patrimonio di conoscenze. Angelo Siino racconta i giorni del ’92, parla ancora delle stragi di Capaci e via D’Amelio. E approfondisce lo scenario dal quale erano scaturite, uno scenario che Alfredo Galasso – il difensore dell’ex “ministro dei Lavori Pubblici” di Cosa Nostra – definisce senza mezzi termini “impressionante”. Impressionante perche’ la decisione di uccidere i due magistrati era un’esigenza condivisa da molti mondi diversi: Cosa Nostra, ma anche tutto un sistema politico – economico che con Cosa Nostra aveva cominciato a tessere solide trame affaristiche. Una chiave di lettura alla quale i magistrati siciliani erano gia’ arrivati, ma che adesso Siino conferma e rafforza con una miriade di particolari. La morte di Giovanni Falcone, dice ad esempio, era gia’ stata decisa da molto tempo. Perche’, emigrando a Roma e scegliendo di installarsi al ministero della Giustizia, era diventato ancora piu’ pericoloso di prima. Ma soprattutto perche’ da tempo, assieme a Borsellino, aveva ricostruito l’intreccio tra mafia, affari e politica che si era creato negli anni precedenti. La strage di via D’Amelio invece era stata decisa in fretta, la scelta di uccidere anche Paolo Borsellino aveva subito un’improvvisa “accelerazione”, proprio su pressione di quegli ambienti politico – economici che si sentivano sul collo il fiato di quel suberbo investigatore. C’erano state anche delle perplessita’, nel dare il via al massacro di via D’Amelio. Cosa Nostra, che gia’ aveva dovuto patire la reazione popolare dopo Capaci, temeva che un’altra strage avrebbe avuto contraccolpi soprattutto sul regime carcerario. Nessuna valenza simbolica insomma, dietro quei due massacri: Cosa Nostra e i suoi compagni di avventura volevano solo fermare una temibile macchina investigativa. E forse ad “accelerare” la decisione di uccidere anche Paolo Borsellino aveva contribuito proprio una sua ammissione pubblica: “Io non sono solo un magistrato, ma anche un testimone”, aveva detto pochi giorni dopo Capaci nell’atrio della biblioteca comunale di Palermo. Una minaccia concreta, subito raccolta da una Cosa Nostra che si era fatta attentissima a tutte le dichiarazioni pubbliche che la riguardavano. Adesso Siino, dopo quattro giorni di fittissimi e segretissimi interrogatori, si prendera’ una pausa. Ha perso completamente la voce, in queste ultime ore e deve sottoporsi ad una serie di esami clinici. E mentre sembrano smorzarsi i veleni siciliani, compaiono altri segnali inquientanti. Al pm nisseno Luca Tescaroli e’ stata trafugata la borsa in un hotel romano: la valigia con i documenti sulle ultime inchieste e’ stata ritrovata dopo una settimana. E alla redazione palermitana del Mediterraneo e’ arrivato un sofisticato avvertimento contro Caselli. Una macchina fotografica carica, nella pellicola le immagini della residenza del magistrato, del palazzo di giustizia e del comando dei carabinieri: “Sono questi gli obiettivi che salteranno in aria”.
LA RELAZIONE DI CASELLI SUI VELENI CONTRO LO FORTE “Quel capitano usava metodi maliziosi e spregiudicati”
PALERMO – Le Procure di Palermo e Caltanissetta firmano l’armistizio ma resta da capire chi sono i registi dell’ultimo caso politico giudiziario siciliano. Che il pool di Caselli sospetti del capitano del Ros Giuseppe De Donno non e’ un mistero e, anzi, leggendo la relazione inviata dal procuratore generale Vincenzo Rovello emergono tutte le diffidenze nutrite nei confronti dell’ufficiale che ha innescato la polemica con la denuncia contro il procuratore aggiunto Guido Lo Forte. Ricostruendo la vicenda Siino nel documento riservato numero 235 / 97, Caselli ripesca l’indagine degli ispettori ministeriali del 1993, partita anche allora dalle dichiarazioni di De Donno. Durissimo il dossier di quattro anni fa che parlava di “responsabilita’ diretta dell’Arma dei carabinieri, in persona del capitano De Donno, sotto forma di uso strumentale dei documenti in suo possesso, di errate informazioni ai magistrati, di spregiudicate forme di collaborazione”, con pesanti riferimenti anche ai metodi “maliziosi” dell’ufficiale. Il primo atto della vicenda, scrive il procuratore, e’ rappresentato dall’avvio dell’inchiesta del Ros su mafia e appalti nell’88. Il 20 febbraio del ’91, Angelo Siino, fin a quel giorno noto solo come pilota di rally, per la prima volta viene definito “personaggio di spicco dell’organizzazione mafiosa”. Cinque mesi piu’ tardi, il 9 luglio del ’91, Siino viene arrestato. “Ma parallelamente alla vicenda processuale – scrive Caselli – se ne sviluppa sulla stampa un’altra per molti aspetti sorpendente e incomprensibile a partire dal 15 giugno ’91, cioe’ ancor prima delle richieste al Gip”. E’ il riferimento alle voci che circolano a Palazzo di Giustizia sul coinvolgimento di esponenti politici di primissimo piano e alle critiche contro i silenzi della Procura, guidata allora da Pietro Giammanco. Ma i nomi di questi politici “resi noti alla stampa gia’ nell’estate del 1991 – sottolinea ancora Caselli – sarebbero stati portati a conoscenza della Procura in parte solo nel novembre del ’91 e in parte addirittura nel dicembre ’92”.
Gallo Giuliano
Pagina 14
(30 novembre 1997) – Corriere della Sera