Falcone, notti per terra Voleva restare vigile

CALTANISSETTA – Dopo l’attentato dell’Addaura, Giovanni Falcone dormiva per terra e non più sul letto. Stare così scomodo gli garantiva un sonno più leggero. Aveva paura, voleva restare vigile ventiquattro ore su ventiquattro. Voleva che sua moglie, Francesca Morvillo, tornasse ogni sera a casa, a Palermo, per restare da solo nella villa nei pressi della quale la mattina del 21 luglio ’89 era stata rinvenuta una borsa contenente esplosivo. «Loro devono sapere che io non mi muovo da qui, che io non ho paura» disse Falcone alla moglie, davanti ad un amico. E’ uno spaccato del coraggio, del gran carattere del magistrato ucciso a Capaci e della preoccupazione per i suoi familiari, quello descritto ieri dal pubblico ministero Luca Tescaroli nella prima giornata della requisitoria nel processo per quel fallito agguato mafioso. Ricostruendo ai giudici della Corte d’assise di Caltanissetta presieduta da Pietro Falcone il contesto storico nel quale avvenne l’attentato, Tescaroli ha evidenziato come Falcone, che da quel momento in poi cominciò a girare armato, fosse certo che quello dell’Addaura non era un semplice atto intimidatorio. Quella volta avevano davvero tentato di ucciderlo. Il rappresentate della pubblica accusa ha evidenziato come Falcone fosse diventato il nemico numero uno di Cosa nostra per le indagini condotte negli Stati Uniti e per il suo ruolo di leader nel pool antimafia. E per questo nei suoi confronti, oltre ai tentativi di eliminazione fisica, sarebbero state messe in atto manovre di delegittimazione. Una su tutte, le accuse contenute nella lettera del «corvo», con la quale si sosteneva, fra l’altro, che Falcone avesse pilotato il rientro in armi in Sicilia del pentito Totuccio Contorno consentendogli di «vendicarsi» con i nemici. «Accuse – ha detto Tescaroli – rivelatesi oggettivamente calunniose» e che provocarono molta amarezza in Falcone che dopo la “bocciatura” nella corsa per l’incarico di capo dell’ufficio istruzione a Palermo e le accuse mosse contro di lui e De Gennaro si sfogò con la sorella Maria dicendo: “Io ho una sola cosa, un solo tesoro: il mio onore di magistrato”. E tentavano di toglierglielo».

GIANPIERO CASAGNI

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