Ingroia ‘confessa’ e Contrada spera

 

 

Grazie alla “confessione” del Pm Antonio Ingroia, che nel suo libro Nel labirinto degli dei ha raccontato un episodio sconosciuto ai giudici, la Corte d’appello di Caltanissetta valuterà se annullare o meno la condanna deἀnitiva a 10 anni di reclusione inflitta a Bruno Contrada per concorso esterno in associazione mafiosa.

Nonostante il parere contrario della Procura Generale i giudici nisseni, hanno dichiarato ammissibile il ricorso del difensore dell’ex numero tre del Sisde, l’avvocato Giuseppe Lipera, ed hanno fissato per l’8 novembre il dibattimento. Quel giorno Bruno Contrada comparirà nell’aula “Gaetano Costa” come imputato, ascolterà la relazione e potrà proporre mezzi di difesa.
I giudici dovranno così valutare se la decisione di non depositare i verbali e le risultanze investigative che evidenziarono la falsità delle accuse mosse a Contrada dall’allora pentito Vincenzo Scarantino, possano aver avuto, o meno, un ruolo determinante nella condanna del dirigente generale della Polizia.

La difesa ritiene che si tratti di un fatto determinate visto che ci si trova davanti ad un “reato giurisprudenziale” e quindi «basta una piuma per cambiare il giudizio da colpevole a innocente» ama dire l’avvocato Lipera. La decisione di non depositare tutti gli atti fu presa dal Pm Antonio Ingroia e dall’allora procuratore capo, Giancarlo Caselli.
Ma – come ricordava il Sud a marzo – non era quella la prima volta che la Procura di Palermo aveva deciso di non depositare tempestivamente nel fascicolo un verbale che riguardava Contrada.

Era successo pure con un interrogatorio del pentito Francesco Marino Mannoia. A domanda dei Pm di Palermo il collaboratore aveva risposto di non aver nulla da dire contro Contrada. Della dimenticanza dei Pm si accorse l’allora avvocato di Contrada, Gioacchino Sbacchi, che si trovò fra le mani quel verbale depositato al processo a Giulio Andreotti. Il Pm, Antonio Ingroia, che nel suo saggio ha dato il “via libera” alla revisione per lo 007, scrive di avere interrogato Scarantino.

«Le dichiarazioni a carico di Contrada erano minuziose e precise, apparentemente riscontrabili», si legge nel Labirinto degli dei. Ma il Pm non si fece abbindolare: «Era evidente che si trattava di un criminale di infimo livello. Possibile che sapesse cose tanto rilevanti?». Ingroia, comunque, fu costretto a far svolgere «approfondimenti sulle vicende citate da Scarantino». L’esito però «fu sconfortante. Le dichiarazioni accusatorie in merito a Contrada erano riscontrate, ma solo in apparenza».

Fu a quel punto che parlando con «Alfredo Morvillo, contitolare con me del processo Contrada, ci trovammo d’accordo. Quelle dichiarazioni non erano convincenti, come non lo era il teste». E così sentito «Giancarlo Caselli, all’epoca procuratore a Palermo, decidemmo di non servirci delle sue dichiarazioni accusatorie. Esse pertanto non furono mai utilizzate dalla Procura di Palermo». Verbali di interrogatorio ed esito delle indagini, dunque, secondo quanto scrive Ingroia, non vennero depositati nel processo che era in corso.

La richiesta di revisione, adesso, si fonda proprio su questi fatti nuovi e sconosciuti ai giudici che processavano Contrada, e l’avvocato Lipera si interroga sul perché non si indagò per accertare come mai Scarantino avesse fatto quelle accuse a Contrada e perché il pentito non venne indagato per calunnia. Secondo il legale, insomma, la condotta della pubblica accusa impedì «alla difesa di esercitare tutte quelle azioni che avrebbero potuto chiarire il contesto in cui si andava maturando tutta la vicenda giudiziaria ed usare ogni strumento utile per fare emergere la verità».

L’esposto presentato da Contrada per far analizzare quella condotta, è stato archiviato. Resta, però, il “fatto nuovo” non conosciuto al momento dei giudizio che, adesso, la Corte d’appello nissena, non ha ritenuto “manifestamente infondato” e, pertanto, meritevole di analisi. Per Contrada, che ora ha 80 anni e ἀnirà di scontare la pena a novembre dell’anno prossimo (è agli arresti domiciliari per gravi motivi di salute), è la prima volta che viene dichiarata ammissibile la sua richiesta di revisione. Le prime due volte erano state bollate con l’inammissibilità.

L’esito del processo non è ovviamente scontato. Il giudizio, comunque, si concluderà con sentenza: di accoglimento o di rigetto. Se ci fosse un accoglimento a Contrada spetterebbe anche un risarcimento «non inferiore a un milione di euro – dice l’esperta Marzia Maniscalco – con importanti aggiustamenti verso l’alto non solo per le conseguenze di natura morale, ἀsica e psichica, ma, anche del pregiudizio all’immagine e all’identità personale, tenuto conto del clamore suscitato dalla vicenda giudiziaria sia per la gravità del reato contestato, sia della qualità della persona».
In caso di rigetto il giudice lo condannerebbe al pagamento delle spese processuali.

(da ilSud)

Commenti terminati

Accedi | Disegnato da Gabfire themes