Mafia/ La `Trattativa’ con lo Stato: come un’araba fenice

Già a giugno del 1992 se ne era parlato, anche sui giornali

di Gianpiero Casagni

Palermo, 28 lug. (Apcom) – La supposta `trattativa’ fra la mafia e pezzi deviati delle istituzioni italiane che nelle ultime settimane è tornata prepotentemente alla ribalta delle `cronache’ per via del `papello’ , il foglio di carta cioè con l’elenco di richieste formulate dai mafiosi, cinicamente si potrebbe definire come un’araba fenice. Da settimane, sulla scorta delle dichiarazioni del figlio di don Vito Ciancimino, Massimo, che annuncia di esser pronto a consegnare il `papello’ ai magistrati, non si parla d’altro e si pubblicano, come `inediti’ verbali e manoscritti datati. Tutti concentrati, però, in un periodo immediatamente precedente o successivo la strage di via D’Amelio, a seconda delle teorie a cui più si crede.

Un documento anonimo, agli atti del Senato della Repubblica, letto e discusso a Palazzo Madama parlava, da prima e `ufficialmente’, di una presunta trattativa. Era il 24 luglio del 1992, cinque giorni dopo la strage di via D’Amelio, quando il senatore comunista Lucio Libertini, `ufficializzava’ la notizia che “un mese prima”, e quindi a metà-fine giugno, ben 39 destinatari, fra uomini politici, magistrati, redazioni di giornali, ma anche il procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Borsellino, avevano ricevuto una lettera anonima di 8 pagine nelle quali si spiegava il ‘perchè’ degli ultimi fatti di sangue in Sicilia.

Secondo l’anomino, l’allora capo di Cosa nostra Totò Riina avrebbe incontrato e posto delle condizioni, delle richieste, ad un suo interolcutore ‘istituzionale’, che non era Vito Ciancimino. Non è noto se tali richieste siano state o meno messe nero su bianco in un `papello’, ma in tale ipotesi, sarebbero state formulate ben prima della supposta trattativa dei carabinieri con l’ex sindaco di Palermo e in ogni caso le richieste sarebbero state esattamente le stesse. “1)la prospettiva a medio termine della possibilità per i più importanti latitanti di regolarizzare la loro posizione; 2) la garanzia di riprendere anche ufficialmente il controllo dello loro ricchezze; 3) la possibilità d’inserirsi con proprie imprese nei prossimi grandi appalti da gestire in Sicilia. Riina precisava – si leggeva nell’anonimo – che su quest’ultimo aveva fatto delle promesse lo stesso Lima ed era sul punto di mantenere gli impegni assunti (…) quando un’indagine giudiziaria dei
carabinieri arrestò il responsabile dell’impresa e alcuni imprenditori amici dei corleonesi”.

Chi, secondo l’anonimo agli atti del Senato, avrebbe fatto quella trattativa avrebbe detto che sarebbero state approvate alcune leggi speciali di contrasto alla mafia, una delle quali avrebbe promesso l’immunità a quei pentiti della mafia che avrebbero consentito l’ottenimento di clamorosi successi delle forze di polizia. “Contemporaneamente – scriveva l’anonimo – lo stesso Riina e i più importante latitanti del suo gruppo si sarebbero fatti arrestare consentendo a chi aveva `trattato’ di presentarsi all’opinione pubblica come i vincitori del fenomeno” e, dopo aver chiesto elezioni anticipate, avrebbero ottenuto il
meritato premio.

L’anonimo non venne letto, probabilmente, da tutti i destinatari e non è noto se Borsellino lo abbia letto o meno, ma, certamente, il documento anonimo diventò `noto’ all’opinione pubblica il primo luglio del 1992, quando un quotidiano siciliano (La Sicilia) lo pubblicò. Era lo stesso giorno in cui Borsellino interrogava a Roma il pentito Gaspare Mutolo, lo stesso giorno in cui il magistrato, morto 18 giorni dopo in via d’Amelio, avrebbe avuto un incontro con il ministro dell’Interno dell’epoca, Nicola Mancino. Lo stesso giorno, insomma, in cui, secondo alcuni, Borsellino avrebbe appreso la notizia di una trattativa tra
uomini dello Stato e mafia e si sarebbe ‘scosso’.

Certo è che la notizia dell’anonimo, visti i nomi e i particolari che venivano indicati nel manoscritto, turbò molte persone quel giorno. Due giorni più tardi, viste le reazioni politiche sortite alla diffusione a mezzo stampa, una voce anonima che diceva di parlare a nome della `Falange armata’ disse che “se questi deludenti risultati hanno sortito quelle otto cartelle, impropriamente attribuite, elaborate dal comitato politico della `falange armata’ a conclusione di un ciclo aspro e difficile di lotta politica e militare, allora vuol dire che ulteriori segnali forti, chiari, devastanti necessariamente si impongono”. Vero o non vero il contenuto dell’anonimo, 15 giorni dopo ci fu la strage di via d’Amelio.

Il documento anonimo, intanto, finì sotto indagine della Procura di Palermo e di Caltanissetta. A settembre dello stesso anno, Mancino, rispondendo al Senato a numerose interrogazioni, definì l’anonimo, “visibilmente come un atto di disinformazione
proveniente da ambienti mafiosi, abilmente confezionato con poche notizie vere, di pubblico dominio, insieme ad altre verosimili e ad altre visibilmente false e assurde”. Il mittente, insomma era la mafia.
Cas

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