Lo Stupor Mundi continua a stupire
(Dopo la Storia della Sicilia esce per Rubettino Federico II e la Sicilia. Visto dal docente agrigentino)
Padre della lingua siciliana, fondatore dell’Università di Napoli, oppositore del Papato e infie “sconfitto”da Innocenzo IV che a Lione dichiara la decadenza dall’impero romano. La figuradell’imperatore che fece della Sicilia la sua culla politica e culturale
Un’analisi delle molteplici sfaccettature dello “Stupor mundi”, da quella di padre della lingua siciliana a quella di fondatore dell’università di Napoli, passando per la Costituzione del regno di Sicilia, i conflitti con il papato, le scomuniche, gli assalti alle navi con i cardinali a bordo per impedire il Concilio, fino alla dichiarazione di decadenza dal Sacro romano impero e la morte a 56 anni.
In Federico II e la Sicilia, edito da Rubbettino, lo storico, politico, sindacalista e docente universitario agrigentino, Francesco Renda, racconta «le cose che spesso gli altri autori non hanno raccontato», evidenziando il ruolo centrale che ebbe la Sicilia nella vita del re svevo. Raggiunta la soglia dei novant’anni lo scorso 17 febbraio, il professore torna a rioccuparsi di Federico II in maniera più approfondita rispetto a quanto fatto in passato. «Sembra che il mio giudizio su di lui sia cambiato ma, in realtà – sottolinea Renda – ribadisco le stesse cose fornendo, adesso, una spiegazione che, in una sintesi storica di carattere generale, quale era la Storia della Sicilia, non potevo dare e si poteva avere l’impressione che io fossi critico. Che ci fossero anni fa alcuni giudizi critici – spiega – era indispensabile, si era in un clima diverso. Ma la valutazione della storia cambia quando cambia il tempo».
Le 200 pagine (15 euro) di Federico II e la Sicilia, «sono piaciute così tanto all’editore – dice con pacata soddisfazione l’autore – che lo ha messo nella collana Storie d’oro. Il che vuol dire una considerazione particolare».
Federico II, nato a Jesi il 26 dicembre 1194, fu re di Sicilia, duca di Svevia, re di Germania, imperatore dei Romani, e re di Gerusalemme. «Fu re di Sicilia per 14 anni, dai quattro ai 18 anni e conseguentemente – sottolinea Renda – la sua formazione personale avvenne nell’Isola. Poi divenne re di Germania e imperatore, ma la Sicilia non l’ha mai dimenticata». Cosa che, invece, a detta dello storico, autore di una quarantina di libri su vicende storiche siciliane, ha fatto Palermo «una città singolarmente strana, disattenta, poco interessata al suo passato».
Renda ricorda che Federico II «è il padre della lingua siciliana. Lui si era posto il problema della lingua che in Sicilia non c’era. E siccome come re e imperatore aveva un’alta considerazione del regno di Sicilia, che era il suo regno preferito, voleva farne un esempio da seguire per tutti i Paesi del mondo». Fu così che Federico «diede disposizione a tutti i funzionari del regno di Sicilia di fare poesia, non sulla base di un’ispirazione poetica ma scrivendo poesie che poi lui avrebbe raccolto». Anche Federico scrisse poesie, anche se mediocri. «Queste poesie scritte nella nuova lingua siciliana – ricorda Renda – non furono pubblicate e non ebbero la possibilità di una durata nel tempo e questo perché 10 anni dopo questa operazione Federico venne dichiarato decaduto». La sua opera ci è stata tramandata «perché un cronista toscano la tradusse in toscano. Però, senza il commento di Dante, sarebbe scomparsa».
Nel suo libro, Renda, che spiega di aver voluto rendere la storia «leggibile come se fosse un romanzo, perché uno storico che non sa raccontare non è uno storico», si occupa anche dei contrasti fra Federico II e la chiesa.
«A quel tempo il Papa era signore feudale del regnum Siciliae che gli garantiva non solo il reddito ma anche la sicurezza geografica. Federico a 18 anni, re fanciullo, ricevette la comunicazione di essere stato eletto re di Germania (lo era stato il nonno ed il padre) mentre era a Palermo. La moglie, Costanza d’Aragona, non era favorevole, ma lui partì egualmente. Per diventare re di Germania, e poi imperatore, doveva avere il consenso del Papa, Innocenzo III, il quale gli promise che l’avrebbe appoggiato a condizione di non unisse il regno di Sicilia all’impero. Federico giurò tre volte di mantenere questo impegno e per tre volte non lo rispettò. Con papa Onorio la cosa gli andò bene, poi però venne Gregorio IX ed il problema del possesso della Sicilia divenne importante».
Federico amava la Sicilia e per questo aveva posto sull’isola la capitale dell’impero. «Aveva l’ambizione di essere uno statista, ma in Germania non lo poteva fare perché c’era un sistema che lo faceva dipendere dai principi tedeschi. In Sicilia, invece, c’era la monarchia fondata da Ruggero II, una monarchia assoluta: il re era tutto ed il popolo niente, contava la volontà del re. Federico – prosegue – era un despota intelligente. Aveva di sé una considerazione assoluta, intransigente, altera, ma aveva un’apertura mentale straordinaria». E, così, visto che in Sicilia c’erano 200mila greci, lui fece loro la guerra per far si che la Sicilia avesse un solo popolo. Fece la guerra, ma anche il codice di Melfi.
«Si tratta – sottolinea Renda – di un codice come quelli che abbiamo oggi, ma nel 1200 era una novità assolta. Lo fece a Melfi perché lì c’era il parlamento. Lui raccolse le leggi che aveva fatto Ruggero II e quelle che aveva fatto lui, in modo che l’ordinamento giuridico del regno di Sicilia fosse d’esempio per tutti i regni. Poi fondò l’università di Napoli».
Con papa Gregorio IX, Federico aveva due “vertenze”: una era quella che facesse la crociata.
«L’ultima crociata la fece Federico, ma fu scomunicato perché andò in Oriente per liberare Gerusalemme e, invece, fu ospite del sultano e diventò arabo vivendo come gli arabi. Poi dovette ripartire immediatamente dall’Egitto perché il Papa aveva invaso il regno di Sicilia ed era arrivato quasi a Brindisi; l’altro motivo era che doveva restituire il regno».
E qui viene il grande Federico imperatore: «Lui era l’uomo più potente d’Europa ma voleva essere imperatore e soprattutto essere re d’Italia dalle Alpi alla Sicilia. Tant’è che lui andò in Germania perché il figlio faceva una politica che lo disturbava ed il risultato fu che il figlio finì in carcere e morì in cella suicida».
Tornato dalla Germania, appena attraversate le Alpi, emanò un proclama che dichiarava l’intenzione di conquistare tutta l’Italia. Fu a quel punto che papa Gregorio IX, che aveva quasi 100 anni, si pose il problema dell’indipendenza della chiesa: tutta l’Italia in mano a Federico significava non avere più autonomia. Lo scomunica, quindi, nuovamente: «Nella scomunica venivano contestate le malefatte siciliane. E Federico risponde dichiarando la guerra al Papa. La Chiesa non poteva che perdere militarmente, ma per difendersi aveva il Concilio». Che venne convocato per deporre Federico. Ma lui, anziché trovare un compromesso, decise di impedirlo. «I prelati che venivano dalla Germania, dalla Francia e dall’Inghilterra arrivavano a Roma via mare. Lui con la flotta aggredì le navi papali nottetempo, ne affondò alcune e prese prigionieri tutti i prelati, compresi i cardinali e gli stessi delegati del Papa».
Sembrava che la partita fosse vinta. Gregorio IX muore. Il nuovo Papa muore appena eletto. Viene poi eletto Papa uno che era professore all’università di Bologna «che lui – dice Renda – considerava suo amico. Ma dimenticava la solidarietà fra i Papi. Questo papa, Innocenzo IV, clandestinamente si allontanò da Roma e andò a Lione, in Francia, dove convocò il Concilio. A Lione Federico non poteva andare perché c’era una convenzione in questo senso. Fu così che venne decisa la decadenza dall’impero, ma non dalla Sicilia che rinviarono ad altra occasione». La reazione di Federico fu violentissima. «Era fortunato quello che finiva impiccato, lui amava dare delle morti atrocissime, non atroci».
Da ilSud