Borsellino. Pressioni su Scarantino? Sfilano i “non ricordo”

Un’impressionante sfilza di “non ricordo”, “non so dirlo”, “non ne ho memoria” e finanche un clamoroso “non le so dire se non l’ho mai saputo” ha caratterizzato l’udienza di oggi al processo Borsellino quater fissata per accertare se Vincenzo Scarantino sia stato o meno “imbeccato”, e da chi, subito dopo l’arresto nell’ambito dell’indagine sulla strage del 19 luglio 1992.

Davanti alla Corte d’assise di Caltanissetta uno dopo l’altro, sono sfilati, in una udienza carica di tensione, agenti ed ispettori di polizia che erano stati chiamati a fare da tutela “aggiunta” al collaboratore di giustizia fra il 1994 ed il 1995 a Jesolo, Biella e San Bartolomeo a Mare, nei pressi di Imperia: Fabrizio Mattei, Michele Ribaudo, Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Ganci e Giampiero Valenti. Tutti i testi hanno detto di essere incaricati di quel servizio, che rinforzava l’opera delle forze di polizia locali dal capo del gruppo Falcone-Borsellino, Arnaldo La Barbera, o dal vice  Mario Bò. Il loro compito era stare al fianco del picciotto della Guadagna che lanciò le prima accuse –  poi ritrattate – ai presunti esecutori materiali della strage di via D’Amelio. Il primo a deporre è stato l’ispettore Fabrizio Mattei che ha parlato delle difficoltà “linguistiche”  di Scarantino, “non sapeva parlare in italiano, non sapeva leggere” ha detto il teste, e dei giorni precedenti la sua prima apparizione in udienza come collaboratore di giustizia avvenuta a Roma il 24 giugno 1994. “Scarantino mi chiedeva cosa poteva dire, cosa non poteva dire. Io non mi sono azzardato a dare conigli – ha detto il teste – mi sono limitato a dirgli: ‘cosa devi dire all’avvocato che te lo segno io?’. E lui si presentò con dei verbali…”. Mattei è l’autore di alcuni appunti ai verbali rinvenuti a Scarantino. E’ stato lui a riconoscere la propria scrittura in un precedente processo e anche oggi li ha riguardati. Ad un tratto davanti ad un appunto che recita: “Furto 126 sempre errore nella dichiarazione” il teste ha esclamato: “questa non è la mia scrittura”.

Dell’attività di Mattei e della presenza di verbali in casa Scarantino ha parlato anche Michele Ribaudo, spiegando che “Mattei era il mio superiore ed il responsabile del servizio. Ritenevo che i verbali Scarantino potesse averli”. Rispondendo ad una domanda del patrono di parte civile, Giuseppe Scozzola, il teste ha collocato la lettura dei verbali a qualche giorno prima la deposizione di Scarantino a Roma. Quindi dopo che l’avvocato  lo ha invitato “a rispondere e liberarsi finalmente dei pesi” il teste ha detto: “Lui era seduto e leggeva i verbali, io uscivo”. “Ma ha visto Mattei scrivere?” ha incalzato l’avvocato Scozzola. “Non sono in grado di ricordare…”.

Maurizio Zerilli ha poi raccontato di una assai curiosa traduzione da un carcere all’altro di Salvatore Candura. L’ex collaboratore di giustizia era stato arrestato a Palermo e doveva essere tradotto nel carcere di Bergamo. Per problemi d’orario, però Candura, arrivò in terra lombarda quando il carcere era chiuso e per questo trascorse la notte in camera di sicurezza a Bergamo per poi essere trasferito nella struttura detentiva l’indomani. “In quella circostanza il dottor Ricciardi parlò a Candura del furto della Fiat 126 e mi sembra che uscì il nome di Scarantino”. Il teste ha poi detto che quel viaggio, male organizzato da un punto di vista dei tempi di “consegna” del detenuto al carcere, era stato organizzato dal defunto Arnaldo La Barbera.

L’aggressione di Vincenzo Scarantino al dirigente Mario Bò è stata ricordata poi dal sovrintendente Giuseppe Di Ganci. Scarantino era a San Bartolomeo a Mare agli arresti domiciliari. Non è chiaro come, il 25 luglio 1995, riuscì a telefonare a Studio Aperto, il Tg di Italia 1, e a dire che si era inventato tutto. L’indomani arrivò nella località protetta Mario Bò. “Scarantino voleva picchiare il mio funzionario, Mario Bò, che era venuto a chiedere cosa era successo. Lui – ha detto Zerilli –  gli si è scagliato contro”. Il teste ha detto di ricordare quell’episodio “perché quel giorno finì il servizio di noi di Palermo”. Lo stesso giorno la Procura di Caltanissetta aveva smentito la ritrattazione ed il giorno dopo fu lo stesso Scarantino a confermare la propria intenzione di continuare collaborare. Prima di lasciare il pretorio Di Ganci, ha poi detto di essere stato interrogato su questa vicenda “qualche giorno dopo da un pubblico ministero di Caltanissetta. Ma non mi ricordo chi era…”. Affermazione questa che ha lasciato di stucco sia il Pm d’udienza che i difensori che sono apparsi non a conoscenza di questo rilevante atto istruttorio. L’ultimo teste a salire sul pretorio è stato  Giampiero Valenti. A conclusione dell’udienza, dopo aver acquisito la copia dell’intervista rilasciata a Italia uno da Scarantino ed aver disposto accertamenti sull’esistenza o meno di provvedimenti di sequestro e distruzione della stessa intervista da parte della procura di Caltanissetta, la Corte ha rinviato il processo al 3 ottobre.

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